L’accertamento bancario (o indagine finanziaria) è lo strumento più deleterio che ci possa essere per l’economia: se siete destinatari di accertamento bancario, rischiate grosso!!!
Eh sì, perché la norma prevede che, se non giustificate le entrate e le uscite, sarà tutto considerato evasione fiscale, Attenzione: tutto! Anche le uscite di denaro.
Per cui. se avete un conto corrente con entrate per 50.000 euro e uscite per 40.000 euro, l’evasione fiscale è 90.000 euro: una vera irrazionalità.
Ma la norma ha un fondamento logico, in quanto se non giustificate le spese a chi sono dirette, sono acquisti in nero, per cui pagate voi le tasse per l’altro evasore.
Bene, come dico sempre, cosi muore la libertà sotto gli applausi alla lotta all’evasione fiscale!
Poi ci si chiede come mai dal 2006 al 2014 il 50% delle partite iva hanno cessato l’attività.
Attenzione: L’articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973, introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti correnti bancari. Norma del tutto omologa, ai fini Iva, è prevista dall’articolo 51, primo comma, n. 2), del Dpr 633/1972, per cui c’è un’inversione dell’onere della prova.
Mentre i Romani avevano stabilito che deve provare chi accusa non chi si difende, (onus probandi incubit actori) perché la prova negativa è diabolica, in Italia nel terzo millennio, siamo andati indietro all’età della pietra per cui deve provare chi si difende e non chi accusa.
Tale norma a mio parere è incostituzionale per irragionevolezza nella parte in cui somma entrate e uscite e per limitazione del diritto alla difesa per la difficile prova negativa.
Tale questione è stata presa in carico dalla Corte Costituzionale che, a mio parere, avrebbe dovuto abolirla: ma, purtroppo, come al solito, ha preso una via di mezzo e l’ha dichiarata incostituzionale solo per le uscite e limitatamente ai professionisti per irragionevolezza, perché il professionista non acquista merce al nero per cui non si applica la somma entrate e uscite (Corte Costituzionale sentenza n. 228, del 06/10/2014).
Se qualcuno dovesse pensare di essere al sicuro, si sbaglia di grosso: la Giurisprudenza, a seguito della legge 311/04, ormai ha consolidato l’orientamento in virtù del quale l’accertamento bancario è applicabile non solo ai titolari di partita iva, ma anche ai dipendenti, perché anche loro possono essere evasori (ad esempio il doppio lavoro): poi, se sono anche dipendenti pubblici, rischiano perfino di dover dimostrare che tali proventi non siano frutto di corruzione.
I giudici di legittimità estendono quindi anche ai lavoratori dipendenti la presunzione legale d’imponibilità prevista dagli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972 e posta a fondamento degli accertamenti bancari (Cassazione n. 8047 del 3/4/2013).
Dello stesso orientamento anche altre pronunce in base alle quali “gli articoli 32 e 38 Dpr 600/1973 hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazione dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengono” (Cassazione sentenza n.1401/2011, Cassazione sentenza n.19692/2011).
Evitate di usare assegni, preferendo i bonifici perché hanno le causali e sono facilmente attribuibili.
Un consiglio: utilizzate per quanto possibile i contanti e ricordate che le carte di credito consentono di verificare le vostre capacità di spesa, per cui attenti al redditometro! Tenete una contabilità, delle entrate e delle uscite dei vostri conti correnti.
Se vi chiedono spiegazioni siate subito pronti a fornirle: in caso contrario… siete “morti”!!!
a cura del dr. Giuseppe Marino (difensore tributario – http://www.studiomarino.com/)