Due fratelli in carcere da 21 mesi, con un’accusa pesantissima: aver provato, senza riuscirci, ad ammazzare la mamma buttandola giù dal balcone.
Imputazione di cui sono stati riconosciuti colpevoli.
Pena inflitta in primo grado: 10 anni e mezzo di reclusione per entrambi più altri tre anni di libertà vigilata quando avranno finito di scontare la pena in galera e l’interdizione a vita dai pubblici uffici.
Ma il loro avvocato è convinto che il giudice abbia preso un clamoroso abbaglio e si sta battendo per dimostrare la loro innocenza.
Stiamo parlando del caso che vede coinvolti Angelo e Paolo Mona, arrestati il 19 gennaio dello scorso anno, giorno in cui, poco dopo le 13, la loro madre, Maria Adaldo, fu trovata per terra nel giardino di casa, sostenendo di esservi stata scaraventata dai due figli al termine di una lite.

Di qui l’arresto di Angelo e Paolo, il successivo processo e la durissima sentenza emessa il 9 maggio scorso.
Ma il loro legale, il penalista Luca Capriello, sostiene che la “colpevolezza degli imputati” (per concorso in tentato omicidio con l’aggravante dei futili motivi) sia stata riconosciuta sulla base di una “ricostruzione dei fatti viziata, smentita dalle prove raccolte e frutto di una lettura a senso unico dell’istruttoria dibattimentale”.

Secondo quanto scrive l’avvocato nel ricorso che sarà discusso in Appello, nella casa dov’è avvenuto il (presunto) tentato omicidio (e dove in innumerevoli occasioni precedenti già erano accorse le forze dell’ordine, sempre su richiesta della mamma di Angelo e Paolo) c’era un clima turbato proprio dalla signora Maria, “per ragioni indubitabilmente riconducibili al tanto infondato quanto patologico timore di perdere il controllo sui beni di famiglia, da destinare, secondo le sue intenzioni, unicamente alla figlia Anna”.
Ragion per cui, dopo l’allontanamento degli altri due figli Angelo (rientrato dall’estero solo perché, dalla madre gli era stato riferito “falsamente” di un aggravamento delle condizioni del padre) e Vincenzo, “l’unico figlio maschio ancora da scacciare era Paolo, contro il quale, dal 2016 sino ai fatti del processo, la madre e la sorella conducevano una vera e propria guerriglia quotidiana (“a colpi di denunce, referti medici e due richieste di TSO”) per allontanarlo dalla casa di famiglia”.
A giudizio del legale dei fratelli detenuti (autore di un lavoro immane, essendo subentrato nella difesa degli imputati ad istruttoria quasi conclusa) la loro mamma sarebbe una “mentitrice seriale”, essendo più volte caduta in contraddizione tra ciò che dichiarava al momento delle presunte aggressioni e durante il processo.

Per l’avvocato Capriello, dall’istruttoria dibattimentale emerge con chiarezza che, contrariamente alle accuse, quel giorno i fratelli Mona non litigarono né picchiarono la madre al piano terra dell’abitazione di via Pendìo Monterusciello, né la inseguirono al piano superiore né la scaraventarono dal balcone.
Inoltre “non ci sono testimoni oculari” di quanto sarebbe accaduto nel racconto che la stessa presunta vittima “smentiva” (sostenendo addirittura che fosse stata la polizia ad estorcerle dichiarazioni accusatorie contro i figli!) , così come ha fatto suo marito, il quale ha detto che la moglie “è caduta da sola” in quanto sofferente di crisi epilettiche e che “nessun litigio era avvenuto in sua presenza”, anche se poi, gli è stato attribuito un “non so come sia successo” che, a detta del difensore di Angelo e Paolo, era “del tutto assente dal verbale” dell’udienza in cui il papà degli arrestati venne come testimone.
Lo stesso avvocato, nel ricorso in Appello, esprime molte riserve anche sulle modalità di indagine da parte del Commissariato di Polizia di Pozzuoli, sottolineando le ricostruzioni contrastanti di un agente e di un ispettore in merito ad alcuni aspetti del loro operato dal momento in cui vennero a conoscenza della notizia del presunto tentato omicidio (e dei loro presunti autori) fino all’arresto dei due fratelli.

Infine, il legale, ricorda come anche Anna, la sorella di Angelo e Paolo (smentita dalla madre quando ha sostenuto che quest’ultima le avesse confidato, in ospedale, di essere stata buttata giù dai fratelli: la signora Adaldo ha infatti confermato di aver parlato solo alla polizia e che la polizia le avrebbe ‘estorto’ determinate dichiarazioni) abbia detto che, quella mattina, i due fratelli non erano in casa.
Gli stessi Angelo e Paolo, tra l’altro, hanno dichiarato che, al momento in cui sarebbe accaduto il fatto di cui sono accusati, si erano incontrati ad Arco Felice, nei pressi della stazione della Cumana.
Alibi che troverebbe conferma anche dalle celle agganciate dai loro telefonini cellulari alle 13.30 in via Campi Flegrei, zona distante circa 10 chilometri dalla loro abitazione, un percorso che secondo il loro difensore sarebbe impossibile da coprire in così breve tempo per i due, sprovvisti di auto.
Troppe cose dunque non quadrano in questa storia per poter condannare, al di là di ogni ragionevole dubbio, due persone ad una pena così severa.
Si attende dunque il processo di Appello per capire come andrà a finire una vicenda giudiziaria così controversa.
Nel frattempo, da ciò che apprendiamo da chi è in contatto epistolare con loro, le condizioni psicofisiche di Angelo e Paolo peggiorano a vista d’occhio.
Paolo, in particolare, ha già perso oltre venti chili, ha minacciato di impiccarsi ed è stato malmenato da altri detenuti nel carcere di Poggioreale (tanto da dover essere trasferito in un altro padiglione), dove pare stia scrivendo un libro in cui vuole raccontare la sua odissea.

Per entrambi, l’avvocato Capriello ha chiesto gli arresti domiciliari.
Ovviamente non nell’abitazione di famiglia, visto quanto accaduto.
Finora una comunità religiosa si è dichiarata disponibile ad ospitare il solo Angelo, ma il Tribunale gli ha negato questa possibilità e il 15 novembre ci sarà l’udienza di riesame della richiesta di scarcerazione.
Bisogna però far presto anche per Paolo, il cui stato di profonda prostrazione potrebbe provocare conseguenze irreparabili.