mercoledì, Marzo 19, 2025
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Il gigolò dei preti accusa il Vescovo di Pozzuoli: “Ha lasciato al suo posto un sacerdote sporcaccione confesso”

Avvocato per passione e gigolò per soldi. Francesco Mangiacapra ha sollevato uno scandalo nel mondo ecclesiastico partenopeo con le sue “confessioni di un marchettaro”, il libro pubblicato lo scorso anno in cui è emersa la doppia vita di alcuni uomini di chiesa con i quali l’autore del dossier (consegnato anche in Vaticano) sostiene di aver avuto rapporti sessuali e partecipato a festini ed orge gay.

Al centro delle bollenti rivelazioni  anche un sacerdote della Diocesi di Pozzuoli.

Ed è proprio al vescovo, Monsignor Gennaro Pascarella, che, dal suo blog, Mangiacapra ha inviato nei giorni scorsi una lettera aperta che rappresenta un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del Presule proprio sulla gestione di questo delicatissimo caso.

ECCO COSA TESTUALMENTE SCRIVE IL GIGOLÒ

Il gigolò Francesco Mangiacapra

“Se Papa Francesco decidesse un giorno di istituire un premio al Vescovo che più si è prodigato per salvaguardare l’immagine di facciata della Chiesa, il vincitore sarebbe certamente Sua Eccellenza Mons. Gennaro Pascarella, vescovo di Pozzuoli e campione di garantismo.

Mentre in tutta Italia – e addirittura in un caso, in Germania – i vari Vescovi si sono impegnati a rimuovere, sospendere o punire i preti e i seminaristi presenti nel mio dossier, il Vescovo di Pozzuoli invece pare non aver preso nessun provvedimento pratico in merito alle mie segnalazioni relative a un prete della sua diocesi; non un semplice presbitero diocesano ma un prete che all’interno di quella diocesi ricopre una posizione importante, soprattutto per la delicatezza delle mansioni assegnategli.

Mansioni che sono rimaste perfettamente immutate nonostante il prete in questione abbia ammesso di fronte ai giudici della Curia, l’autenticità del materiale che ho prodotto all’interno del mio dossier e delle foto che lo vedono coinvolto.

Non ha negato il prete di Pozzuoli, così come su nessun altro nome presente in ciascuna delle oltre 1200 pagine del mio dossier è stato sollevato alcun dubbio di veridicità, circostanza che mi ha reso molto credibile agli occhi dei presuli e particolarmente temuto da quei preti le cui macchie sulla tonaca sono troppo grosse per poter essere coperte.

E ciò che stupisce, relativamente al caso di Pozzuoli, è proprio l’assenza di provvedimenti cautelari e preventivi da parte del Vescovo, in attesa dell’esito del procedimento canonico che accerterà la verità dei fatti ma che nel frattempo ha già incassato delle ammissioni da parte del prete interessato.

Un giudizio inspiegabilmente più lungo rispetto a quelli relativi a casi simili inclusi nel mio dossier, che in altre regioni si sono già conclusi con le rimozioni dei preti coinvolti.

Sarà forse che finché il nome di un prete sporcaccione non diventa pubblico, alcuni Vescovi non si sentono stimolati a intervenire ma sta di fatto che ogni volta che qualche nome diventa pubblico, si parte subito con la sospensione cautelare.

Memorabile è il caso di don Mario d’Orlando della contigua diocesi di Napoli, il cui nome balzò poco più di un anno fa ai disonori della cronaca nazionale per presunti festini a luci rosse: non appena il nome fu reso pubblico, il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, lo rimosse in via cautelare.

Francesco Mangiacapra, in abiti da “battaglia”

La Procura della Repubblica dispose un sequestro in casa del sacerdote per poi scoprire, dopo pochi mesi, che non c’era nessun reato.

Nel frattempo anche l’indagine ecclesiastica, partita da una denuncia anonima e senza prove, si concluse con un nulla di fatto.

Trattato come Al Capone dalla stampa, dalla Procura e dalla Chiesa, d’Orlando è poi risultato essere innocente.

Ma siccome il suo nome era comunque venuto fuori sui giornali, il Cardinale Sepe ha recentemente deciso di continuare a tenerlo in castigo (non si capisce per quale reato) e di rimuoverlo definitivamente dalle mansioni di parroco, tenendolo lontano da occhi indiscreti e relegandolo a cappellano di un convento di suore in un quartiere della “Napoli bene”.

E bizzarra è la circostanza che proprio nella stessa indagine a carico di d’Orlando, era coinvolto un prete puteolano, anch’egli oggetto di perquisizione da parte delle Fiamme Gialle, che però a differenza di d’Orlando, non essendo stato menzionato dai giornali, non aveva subìto dal Vescovo alcuna sospensione preventiva né è risultato essere stato punito.

Il vescovo Pascarella

Se a Napoli per una denuncia anonima si è deciso di sospendere un prete il cui nome era diventato pubblico, e di continuare a tenerlo in castigo anche dopo averne accertato l’innocenza, a Pozzuoli invece il garantismo di Mons. Pascarella fa sì che un presbitero per il quale è stata presentata una denuncia circostanziata – da un accusatore ritenuto unanimemente credibile – continui a operare proprio a contatto con una categoria particolarmente sensibile come i giovani.

Il garantismo di Mons. Pascarella, permette al suo presbitero di continuare a fare la bella vita, di andare in palestra, ai concerti della sua cantante preferita e soprattutto di continuare a svolgere delle delicate mansioni pastorali.

Quasi un’autorizzazione, come fosse cosa buona e giusta per un sacerdote continuare a separare ciò che si esercita da ciò che si è.

L’inerzia da parte di Mons. Pascarella è grave: crea una falla perché permette di continuare a operare a una persona che moralmente non si comporta secondo i dettami di una dottrina alla quale appartiene e a cui ha scelto liberamente di aderire.

Una falla che permette a ogni prete di sentirsi libero di fare ciò che vuole finché il suo nome non diventa pubblico.

Mons. Pascarella con il suo garantismo si rende fautore di una Chiesa che perde di credibilità per una atavica incoerenza tra predicare e agire, una Chiesa che dovrebbe iniziare a rendersi conto che la gente non ha più quella “riverenza senza domande” nei confronti degli uomini di Dio.

Il tempo dei preti colti e della gente ignorante è finito, ora anche i credenti si pongono delle domande e le pongono alla Chiesa, pretendendo delle risposte chiare.

Per questo, a Mons. Pascarella rivolgo una domanda: gli uomini di Chiesa credono davvero in Dio o pensano che anche dopo la vita terrena potranno nascondere i loro peccati?”

Ovviamente, ognuno è libero di dare il credito che ritiene opportuno a queste affermazioni.

Noi le pubblichiamo perché sono già diventate di dominio pubblico.

E ci auguriamo di poter presto ospitare anche una replica del Vescovo di Pozzuoli.

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