a cura di Carlo Pareto (responsabile relazioni esterne Inps Pozzuoli)
Rappresentano ben oltre il 50% degli incidenti che si verificano sulle navi: sono quelli causati dalle cadute che, ogni anno, costituiscono una delle principali cause di infortunio dei marittimi. Di queste più del 40% è correlato – specificatamente – alle cadute dall’alto. Ad analizzare il fenomeno è l’ultima ricerca del settore Navigazione dell’Inail “Le cadute dall’alto per l’attività di lavoro marittimo: studio della casistica nosologica ed ipotesi di interventi preventivi”. Disponibile sul portale dell’Inail, il documento è stato realizzato in collaborazione col ministero dei Trasporti e ha indagato gli infortuni correlati a scivolamenti e a cadute in piano o dall’alto, al fine di evidenziare – oltre a gravità e frequenza – le principali caratteristiche e di prevenirne le cause.
Le best practice per ridurre il pericolo.
Lo studio rileva come le cadute dall’alto siano, dunque, responsabili della maggior parte degli infortuni. Se questa tipologia di incidenti può arrivare anche a comportare in alcuni casi l’inabilità permanente del lavoratore, in generale solo una piccola casistica ha conseguenze molto gravi: circa il 53% è, infatti, senza postumi, mentre un’ulteriore 24% è caratterizzato da postumi di modesta gravità (con inabilità inferiore al 6%). “L’obiettivo di questa ricerca è analizzare i casi più ricorrenti e quelli che determinano le conseguenze più gravi – ha spiegato Teresa Filignano, dirigente del settore Navigazione dell’Inail, tra gli autori della pubblicazione – ai fini di individuare e raccomandare le soluzioni tecniche e organizzative più idonee per ridurre la frequenza e la gravità degli infortuni sulle navi”.
Scale e maltempo le insidie più frequenti.
Le cause principali di tali infortuni sono legate, in parte, alle caratteristiche strutturali della nave e, in parte, alle specifiche attività svolte a bordo. “Bisogna considerare che al personale marittimo viene richiesto di camminare e lavorare in condizioni di per sé instabili a causa dei movimenti della nave – ha puntualizzato Giorgio Guastella, tra i ricercatori della pubblicazione – Inoltre, molte delle superfici calpestabili sono sdrucciolevoli perché bagnate da acqua o da liquidi oleosi”. Il rischio può crescere, pertanto, quando il personale di bordo lavora sotto cattive condizione meteorologiche. “Le navi passeggeri sono caratterizzate dalla presenza di molteplici scale che collegano ponti esterni posti a livelli differenti, spesso bagnati dalla pioggia o dal mare – ha continuato Guastella – mentre, per quanto riguarda i navigli speciali, va tenuto conto della presenza di scale a tarozzi (quelle, in genere, costituite da due corde inframezzate da tavolette di legno e poste in maniera trasversale, ndr), di pendenze più impegnative e pericolose e di numerosi ostacoli presenti sulle pavimentazioni”.
Dalla valutazione alla gestione dei rischio. La ricerca prende le mosse dal quadro normativo vigente – nel quale si colloca il tema della salute e sicurezza nel lavoro marittimo in generale e quello delle cadute dall’alto in particolare – per poi concentrarsi sui dati degli infortuni marittimi. Una prospettiva d’analisi particolare viene dedicata alla situazione europea dove, in materia di prevenzione, si sta passando dall’approccio della cosiddetta “valutazione del rischio” (Risk Assessment) a quella della “gestione del rischio” (Risk Management). Questa evoluzione sta comportando conseguenze significative da un punto di vista strettamente organizzativo delle navi e del suo personale: basti pensare che agli Stati membri – valuta lo studio Inail – è stato chiesto di adottare tutte le misure necessarie per poter svolgere le ispezioni, mettendo a disposizione delle autorità competenti ispettori qualificati.
Informazione e formazione dei lavoratori risorse essenziali.
“Sostanzialmente, viene implicitamente riconosciuta la pericolosità delle attività svolte a bordo delle navi, che non sempre è possibile eliminare, ma che si dovrà cercare di contenere il più possibile attraverso l’introduzione di misure tecniche protettive, l’uso dei dispositivi di protezione individuale, l’organizzazione del lavoro e le procedure standardizzate – ha precisato Silvia Salardi, tra gli autori della ricerca – Per ridurre il verificarsi di infortuni particolarmente gravi e invalidati e che, in alcuni casi, possono portare addirittura alla morte, è necessario mettere in campo ogni strumento: tra i primi, l’informazione e la formazione dei lavoratori. La consapevolezza del rischio che si corre e la conoscenza dei metodi e degli strumenti idonei a ridurlo costituiscono, infatti, l’elemento cruciale della prevenzione”.