sabato, Marzo 15, 2025
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

“Ipotesi ‘patrimoniale’? Già ne esistono due e non sono legittime!”

Ricevo e pubblico*

In questi giorni si sta discutendo sulla possibilità che l’attuale governo inserisca nel nostro sistema tributario una patrimoniale per sanare il grande deficit di bilancio, causato dal Covid 19.

Di patrimoniale ne esistono già due, l’Imu (ex  Ici) e l’imposta di circolazione (bollo auto), la cui dichiarazione di illegittimità è stata sempre evitata dalla Consulta per ovvi motivi di gettito.

Una patrimoniale contrasta con il nostro ordinamento, che legittima soltanto imposte sul reddito, vieta la doppia tassazione (che invece si configurerebbe con tassando immobili e conti correnti, su cui già abbiamo pagato le tasse), costringendo chi non ha reddito, ma solo un immobile o qualche soldo sul conto corrente a pagare imposte senza averne alcuna legittimazione a farlo.

Pensate ad esempio a un ragazzo di 18 anni, al quale muore l’unico genitore, ne eredita la casa ed è costretto a pagare l’IMU o qualsiasi altra patrimoniale senza avere reddito.

Come fa a pagare se non ha nemmeno i soldi per vivere?

Chi invece ha pagato le tasse e con quel reddito già tassato, ha acquistato casa e ha messo da parte qualcosa creando un risparmio, sarà costretto a ritassare tali somme, nonostante il divieto di doppia imposizione.

La favoletta che ci vogliono far credere, in base alla quale la patrimoniale colpisca i ricchi è completamente falsa: i ricchi intestano gli immobili a fondazioni bancarie, che non pagano Imu e i conti correnti li hanno alle Cayman o in altri paradisi fiscali: di conseguenza, a pagare saranno sempre i solito noti.

Quindi chi parla di legittima tassazione ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione, non sa di cosa parla, non ha alcuna preparazione giuridica, oppure se ce l’ha è una persona in malafede.

In primo luogo bisogna capire cos’è una patrimoniale e se rispetti i canoni costituzionali.

La patrimoniale è un’imposta che colpisce il patrimonio (immobili, c/c) a prescindere dal reddito.

La nostra Costituzione (articolo 53) impone la partecipazione alla spesa pubblica in base al principio della capacità contributiva, ossia più guadagno più pago, con criteri di progressività, nel senso che l’aliquota aumenta se aumenta il reddito.

L’articolo 47 della Costituzione tutela il risparmio dei cittadini italiani.

L’articolo 42 della Costituzione stabilisce che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge.

L’articolo 3 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Ma se fai pagare le tasse, per giunta due volte soltanto a chi possiede un patrimonio acquistato con denaro già tassato, fai ideologia politica e non giustizia.

La Legge 825/1971, legge delega della riforma tributaria, parla chiaramente di imposte sul reddito: il tema fu discusso anche durante i lavori preparatori della riforma tributaria del 1971, quando, partendo dall’affermazione secondo la quale non possono essere tassati con la patrimoniale i beni infruttiferi, si ripiegò sulla introduzione di una imposta sui redditi derivanti da patrimonio Ilor.

Il divieto della doppia imposizione è un principio cardine del nostro sistema tributario, che serve ad evitare che lo stesso reddito venga tassato più volte in base allo stesso presupposto e  anche in capo a soggetti diversi (articolo 163 DPR 917/1986).

Nella disciplina delle imposte dirette questo principio è regolamentato dall’articolo 163 DPR 917/1986 in base al  quale “la  stessa  imposta  non  può essere  applicata più volte in dipendenza   dello  stesso  presupposto,  neppure  nei  confronti  di soggetti diversi”.

In base alla citata disposizione sono vietate la doppia imposizione giuridica ed economica.

Vediamo cosa si è inventata la Consulta pur di avvalorare le scelte dei nostri benamati governanti.

Con l’ordinanza n. 169/2016, depositata in data 13/07/2016, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale della legge istitutiva dell’IMU, per violazione del principio costituzionale di capacità contributiva, per  un insanabile contrasto con gli articoli 42 e 53 della Costituzione: l’IMU, colpendo un reddito virtuale anche ove l’immobile non possa produrlo, è quindi illegittima, in quanto dovuta a prescindere dalla percezione di un reddito da parte del proprietario di un bene, obbligato a pagare  indipendentemente da disponibilità finanziarie e quindi costretto a svendere il bene, a ricorrere a forme di finanziamento penalizzanti o a rilasciare l’immobile al Comune; l’imposta contrasta anche con l’articolo 42 della Costituzione, in quanto impedisce il mantenimento della proprietà acquistata a titolo successorio da parte di soggetti privi di reddito che potrebbero destinare l’immobile ad abitazione personale.

Il Giudice delle Leggi liquida la questione con una presunta impossibilità di individuare con precisione la norma ovvero le norme oggetto di censura: censura che fondamentalmente sembra investire l’intero complesso normativo.

Tale impossibilità si riverbera anche sulla rilevanza della questione, non potendosi valutare la necessità di applicazione delle norme stesse.

In poche parole si è rifiutata di decidere.

Con riferimento al bollo auto, con l’ordinanza 352/1995 depositata il 21/07/1995 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della legge n. 53 del 28 febbraio 1983, con riferimento al principio di capacità contributiva.

Fino all’entrata  in  vigore  del  d.l.  30 dicembre 1982, n. 953 convertito  il  legge  n. 53  del  28  febbraio  1983 l’imposta sugli autoveicoli era una tassa di circolazione.

Quindi, in quanto tassa, si pagava se si  circolava, altrimenti non si pagava.

La Tassa di circolazione contribuiva  alle  spese di mantenimento delle opere pubbliche stradali in  ragione della grandezza e, di conseguenza del maggior consumo che i  veicoli  più  grandi  e  più  potenti causavano alla rete stradale pubblica.

Quindi  tale  imposta  aveva,  secondo  il legislatore, un preciso  scopo  risarcitorio.

Con l’entrata in vigore della legge n. 53 del 28 febbraio 1983 la natura della stessa imposta cambia radicalmente, quindi viene trasformata da tassa (che pago se utilizzo un servizio, nella fattispecie l’uso della rete stradale pubblica) a imposta (prelievo coattivo, che si paga a prescindere della possibilità di usufruire di un servizio), ma tale trasformazione  causata da motivi di natura economico-finanziaria  del  Paese  e  diretta  ad ottenere un’entrata fissa e non eventuale, non è stata di poco conto: l’imposta deve rispettare l’articolo 53 della Costituzione, ossia deve essere agganciata al reddito, altrimenti è una patrimoniale, tant’è vero che il presupposto dell’imposta è il semplice possesso dell’autovettura.

La Corte Costituzionale liquida la questione stabilendo che  l’ordinanza di rimessione non fornisce alcuna indicazione della norma o del principio dell’ordinamento rispetto ai quali la disposizione impugnata, diversificando situazioni tra loro comparabili, porrebbe in essere la lamentata discriminazione; che, pertanto, la questione deve dichiararsi manifestamente infondata.

In poche parole si è rifiutata di decidere.

*Dr. Giuseppe Marino (dottore commercialista, difensore tributario  e giornalista pubblicista tributario)

spot_img

Latest Posts

spot_img
spot_img
spot_img

ALTRI ARTICOLI

ARTICOLI PIU' LETTI