Un’inflazione pericolosamente vicina allo zero non è una buona notizia in generale, visto che si associa ad un’economia che non riesce a uscire dalle sacche della recessione. Ma gli incrementi ai minimi storici rilevati nel 2014 appena trascorso dall’Istat portano dal 1°gennaio una sorpresa poco gradita per i pensionati: la rivalutazione dei loro assegni sarà quasi impercettibile.
Anzi, nei primi due mesi del 2015 l’importo potrà risultare leggermente più basso di quello del 2014, per il recupero di una piccola somma che era stata percepita in più.
Per capire esattamente cosa accadrà, bisogna ricordare come funziona il meccanismo di adeguamento annuale delle pensioni, che in gergo tecnico si chiama perequazione.
Ogni anno gli importi vengono rivalutati sulla base dell’indice dei prezzi al consumo (nella versione Foi, “Famiglie di operai e impiegati, al netto dei tabacchi”) rilevato dall’Istat per l’anno precedente.
Siccome l’Inps effettua i relativi calcoli più o meno a partire dal mese di novembre, viene stimato un indice provvisorio sulla base di quello dei primi nove mesi.
Il relativo decreto del ministero dell’Economia ha purtroppo confermato gli andamenti recenti fissando un incremento limitato allo 0,3%, livello storicamente bassissimo (nel 2009 si arrivò allo 0,7%).
All’inizio del 2014, sulla base dell’inflazione 2013, era stata inoltre riconosciuta una rivalutazione provvisoria dell’1,2%, che, però con i dati definitivi, è risultata leggermente più elevata di quella effettiva, pari all’1,1%.
Di conseguenza, l’Inps dovrà limare di quello 0,1% gli aumenti dello scorso anno, ed anche recuperare con le prime due rate del 2015 i pochi euro percepiti in più dai pensionati.
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IL RUOLO DEL FISCO
L’effetto pratico delle nuove indicizzazioni sarà quasi inesistente, anche ragionando sulle cifre lorde. Una pensione pari all’importo del trattamento minimo, originariamente stimato per il 2014 a 501,38 euro al mese, viene rivista a 500,88 e su questa base portata a 502,38. L’aumento è quindi di un euro al mese.
Ma, con tutta probabilità, gli interessati vedranno nel proprio cedolino una somma ancora più bassa, perché l’Inps dovrà anche recuperare i poco più di 6 euro che non erano dovuti: se, come di consuetudine, lo farà tramite trattenute sulle rate di gennaio e febbraio il totale effettivo risulterà ancora più basso, circa 499 euro.
Su importi un po’ più consistenti, più o meno al di sopra dei 600 euro mensili, inizia ad entrare in gioco il fisco.
Che per la sua natura progressiva, ed in particolare a causa della detrazione decrescente riconosciuta ai pensionati, va ad intaccare anche i circa 2 euro al mese di aumento effettivo che spettano intorno ai mille euro di pensione o i poco meno di 4 che sarebbero riconosciuti per un assegno di valore doppio.
E poi c’è sempre da restituire la manciata di euro in più percepiti nel corso del 2014.
Per ironia della sorte, su un livello di adeguamento all’inflazione già così basso operano anche le decurtazioni stabilite con la precedente legge di Stabilità.
Per cui al di sopra di tre volte il trattamento minimo (circa 1.500 euro al mese), quell’esiguo 0,3% teorico va applicato al 95%; al di sopra delle quattro volte al 75%; oltre le cinque volte il minimo al 50% e infine al 45% se l’importo della pensione è superiore a sei volte il trattamento minimo.
È vero che questi ritocchi praticamente nulli corrispondono ad un livello dei prezzi di fatto congelato, per cui sulla carta non c’è perdita di potere d’acquisto. Ma è anche vero che i pensionati, i quali tra l’altro sono rimasti esclusi dal bonus da 80 euro, non necessariamente fanno una spesa del tutto allineata all’indice Istat, che è stato spinto verso il basso giù soprattutto dai prodotti energetici.
a cura di Carlo Pareto (responsabile relazioni esterne Inps Pozzuoli)