C’è modo e modo per chiedere ad un cittadino di mettersi in regola con le pigioni arretrate.
E il Comune di Pozzuoli, nella sua qualità di proprietario delle case popolari, non sta certamente rendendo la vita facile ai propri inquilini.
La prova di tutto ciò è la lettera che sta giungendo a quanti, almeno secondo il Municipio, sono in debito con l’Ente locale di uno o più canoni di locazione.
Una lettera che è firmata dal dirigente del servizio patrimonio Matteo Sperandeo e che, come esplicitamente scritto in calce al testo, ha valore legale come “diffida e costituzione in mora” e come atto che interrompe i termini di prescrizione delle somme dovute.
In pratica, una comunicazione che manifesta la volontà da parte del titolare di questi alloggi di attivare tutte le procedure previste dalla legge per recuperare questi soldi.
Soldi che servono come il pane al Comune per far quadrare i propri conti e che giustamente bisogna cercare di incassare da chi finora non ha fatto il proprio dovere.
Ma la lettera in questione presenta molti lati oscuri, che meritano un approfondimento.
Innanzitutto: il Municipio è certo di avere sotto controllo la situazione complessiva delle morosità e, dunque, di andare a colpire chi effettivamente si trova in “difetto”?
La risposta è no.
E non lo diciamo noi, ma lo afferma lo stesso Ente nel secondo capoverso della lettera inviata ai cittadini con allegato l’estratto conto del debito da saldare.
Il Comune, infatti, scrive testualmente che bisogna esibire all’ufficio patrimonio di via Campana 250 eventuali attestati di pagamento “riferiti al periodo in esame”.
Il significato di questa precisazione è lampante: il Municipio non può escludere che l’inquilino che sta diffidando si sia già messo in regola con i pagamenti e che dunque non sia affatto un moroso da perseguire per vie legali.
Ma com’è possibile una cosa del genere?
Si va dunque a colpire alla “cieca”?
Che tipo di “revisione contabile” è in possesso dell’Ente se non si ha nemmeno la certezza di rivolgersi a un debitore?
Evidentemente il Comune sta navigando a vista e non ha il quadro delle reali morosità.
E la conferma arriva da molti cittadini che, avendo ricevuto questa lettera, si sono rivolti, con una certa preoccupazione, ai sindacati inquilini, esibendo la prova di essere in regola con tutti i pagamenti.
Ebbene: questi cittadini ora saranno costretti a perdere del tempo per recarsi all’ufficio patrimonio, mostrare i bollettini che testimoniano la loro buona fede e farsi annullare questa diffida, che, tra l’altro, contiene, oltre all’importo da pagare, anche 8,80 euro per le spese di gestione della pratica e per la raccomandata con ricevuta di ritorno, che è a carico del destinatario.
E non osiamo immaginare l’ansia di chi, pur avendo la certezza di non essere in debito con il Comune, magari ha smarrito le “prove” per dimostrarlo e, dunque, o sarà costretto a pagare nuovamente ciò che ha già pagato a suo tempo, oppure dovrà rivolgersi alle Poste nel tentativo di risalire agli estremi di quei versamenti.
Ma non è finita qui.
Perché c’è un secondo aspetto di questa vicenda altrettanto importante.
In alcune di queste diffide inviate dal Comune, infatti, vengono chieste pigioni arretrate anche di mesi o intere annualità antecedenti al 2008.
Viene da chiedersi: ma il Municipio è a conoscenza dell’articolo 2948 del Codice Civile, quello cioè che stabilisce che anche le pigioni arretrate si prescrivono in cinque anni?
In parole povere, per legge, il Comune, a partire dal 2013 non può pretendere un solo centesimo di affitto che risalga a periodi che precedono il 2008.
A meno che lo stesso Ente non possa provare, carte alla mano, che, nel corso del tempo, ha “congelato” i termini di prescrizione con atti ufficiali indirizzati all’inquilino moroso.
E, ai sindacati di categoria, molti cittadini che si trovano in questa particolare situazione giurano di non aver mai ricevuto lettere che interrompono la prescrizione.
Tra questi cittadini e il Municipio, dunque, si aprirà un contenzioso per capire chi abbia effettivamente ragione.
Tuttavia, la cosa più incredibile di questa lettera è la modalità con cui l’inquilino moroso in difficoltà economiche può accedere alla rateizzazione del debito, così come previsto da un apposito regolamento approvato il 4 aprile dell’anno scorso dall’allora commissario straordinario Ugo Mastrolitto attraverso la delibera numero 33.
Questo regolamento stabilisce che il debito si può pagare, con l’aggiunta di interessi al tasso legale: in quattro mesi per somme fino a 100 euro; in sei mesi da 101 a 500 euro; in 12 mesi da 501 a 1.000 euro; in 24 mesi da 1.001 a 3.000 euro; in 36 mesi da 3.001 a 5.000 euro; in 48 mesi da 5.001 a 8.000 euro: in 60 mesi da 8.001 euro in su; con un acconto del 5% del debito totale per morosità fino a 5.000 euro; del 10% da 5.001 a 10.000 euro; del 20% da 10.001 euro in su: acconto, quest’ultimo del 20%, rateizzabile in tre mensilità e senza interessi.
Nella diffida inviata dal Comune, si scrive espressamente che per poter accedere a queste rateizzazioni, bisogna contattare un call center del Municipio al numero 011/0437085 e che questo servizio costerà 18,15 euro da aggiungere al conteggio della morosità complessiva.
Ebbene, molti cittadini, seguendo le indicazioni contenute nella lettera, hanno contattato questo call center, attivo dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14.
E cosa hanno scoperto?
Che la telefonata era assolutamente inutile!
In pratica, dall’altro capo del filo, risponde un operatore il quale spiega che, per ottenere la rateizzazione del debito, bisogna rivolgersi agli uffici comunali.
Ma allora per quale motivo costringere i cittadini a fare una telefonata interurbana in ora di punta ad un numero di Torino (il prefisso 011 è del capoluogo piemontese) spendendo altri soldi senza ottenere il servizio promesso?
E perché mai il Comune di Pozzuoli si serve di un call center che si trova a 1.000 chilometri di distanza, facendo pagare ai morosi delle case popolari non solo il costo (non certo irrilevante) della chiamata ma anche altri 18 euro e 15 centesimi per aderire al piano di rateizzo?
La cosa più assurda è che, da questo call center, non si riesce a sapere nemmeno con chi si sta parlando e a che titolo.
Abbiamo infatti provato a contattare il numero in questione sostenendo di essere interessati al piano di rateizzo delle morosità arretrate.
Risultato? Non solo ci è stato detto che “bisogna rivolgersi al Comune di Pozzuoli” ma, a nostra precisa domanda sul chi rispondesse dall’altro capo del filo, ci è stato ripetutamente detto che stavamo parlando con “un ufficio del Comune di Pozzuoli”.
E la stessa risposta, a mò di cantilena (“siamo un ufficio del Comune di Pozzuoli”) ci è stata data quando abbiamo domandato come mai questo “ufficio del Comune di Pozzuoli” avesse un prefisso telefonico di Torino, dove si trovasse precisamente questo ufficio e se il nostro interlocutore fosse un dipendente del Comune di Pozzuoli.
Insomma, se telefonate a questo numero (e lo stesso esperimento, ottenendo le stesse risposte, è stato fatto anche da un consigliere comunale e da un sindacalista degli inquilini) sappiate che state buttando soldi dalla finestra, in quanto vi servirà soltanto a sapere che, per aderire al piano di rateizzo, dovete rivolgervi al Comune di Pozzuoli e, se volete sapere con chi state parlando, non ve lo diranno nemmeno sotto tortura.
Incredibile ma vero!
Il Municipio scrive, con un atto di diffida, che bisogna rivolgersi a un call center per ottenere il rateizzo (a pagamento!) del debito, ti rivolgi a questo call center pagando la massima tariffa telefonica per una chiamata ad un numero con un prefisso di Torino solo per sapere che devi rivolgerti al Comune di Pozzuoli e, alla fine, quando chiedi con chi stai parlando, hai la sensazione di interloquire con dei “fantasmi”, visto che, per incomprensibili motivi, questi signori si rifiutano categoricamente di dirti dove si trova “l’ufficio del Comune di Pozzuoli” da cui sostengono di aver fornito queste (inutili) informazioni.
Dopodichè ti rivolgi al Comune e ti spiegano che in realtà il servizio di rateizzazione non è più eseguito da questo call center ma direttamente dal Municipio.
Ma, allora, perché nelle diffide inviate ai morosi (o presunti tali) dal dirigente dell’ufficio patrimonio, è data un’informazione sbagliata (o “superata” dagli eventi) ma che soprattutto fa perdere tempo e denaro ai cittadini?
Disorganizzazione? Incapacità? Superficialità?
Sembra esserci davvero di tutto in questa lettera.
Ed è davvero assurdo che, per capire con chi si sta interloquendo quando si telefona a quel call center e chi sta materialmente inviando queste lettere, si debba fare una lunga ricerca presso l’Albo Pretorio del Municipio.
Abbiamo scoperto, infatti, che, il Comune, per gestire la rateizzazione delle morosità e per gli atti che interrompono la prescrizione del debito, ha affidato entrambi gli incarichi alla società “Poste e Tributi”, ramo d’azienda di “Poste Italiane”.
La procedura di invio degli atti di diffida e messa in mora è stata attivata con una determina (la numero 2004 del 29 novembre 2011) firmata dall’allora dirigente comunale al patrimonio Mino Cossiga: per questo servizio, “Poste e Tributi” percepisce dal Comune 35.211 euro, importo calcolato sul costo dell’addebito di 8,80 euro per ognuno dei 4.000 (presunti) destinatari di questa lettera.
Il servizio di rateizzazione è invece stato affidato dal Comune alla stessa società con un’altra determina, molto più recente (la numero 1489 del 5 settembre 2012, firmata dall’attuale dirigente al patrimonio, Matteo Sperandeo), per un importo complessivo di 18.150 euro.
Soldi, però, che “Poste e Tributi” prevede di incassare attraverso l’addebito di 18,15 euro per ognuno dei 1.000 (presunti) piani di rateizzo effettuati a chi contatta il call center in questione.
E qui l’interrogativo è inevitabile: visto che al call center rispondono che per questo servizio di rateizzazione bisogna rivolgersi al Comune, la società “Poste e Tributi” è stata pagata o verrà pagata per un incarico che, nei fatti, non ha più svolto?
Oppure il pagamento sarà effettuato soltanto per gli eventuali rateizzi già effettuati dalla società?
“Bisogna fare immediatamente chiarezza su questa situazione –dice Tito Fenocchio, consigliere comunale di opposizione- Innanzitutto non si capisce come mai, in assenza di un qualsiasi atto di programmazione di Giunta e Consiglio Comunale, con una decisione autonoma del dirigente, si esternalizza un’attività propria dell’Ente, come la rateizzazione prevista da un regolamento comunale per il recupero agevolato delle morosità. Com’è possibile che dirigenti dell’Ente agiscano indipendentemente dalle volontà politiche? Non solo dunque questa determina è censurabile sul piano della procedura ma anche della sua efficacia. Mi chiedo: se questa società non effettua il piano di rateizzo, così come viene esplicitamente detto dagli operatori di questo call center che rinviano i cittadini agli uffici comunali, chi ha pagato questa società e per conto di chi? C’è stato un recesso del contratto con “Poste e Tributi”? E’ stata revocata la determina che affidava questo servizio? Vorrei capire se gli assessori al patrimonio e alle finanze si rendono conto dei guai che stanno producendo ai cittadini per produrre questo piano di rateizzo e come sperano di recuperare un solo centesimo se a nove mesi dal loro insediamento, non si sa nemmeno con certezza se e a quanto ammonta il debito di ciascuno degli inquilini delle case popolari che stanno ricevendo questi atti stragiudiziali. Ancora una volta l’Amministrazione combina pasticci. Rinnovo il mio invito al sindaco Figliolia: mandi via tutti gli assessori e cambi immediatamente la Giunta”.
Ma anche tra i sindacalisti degli inquilini, c’è chi non si capacita di come si possa procedere in un modo del genere per recuperare le pigioni arretrate nelle case di proprietà del Municipio.
“La strada del recupero delle morosità è certamente quella giusta da intraprendere –dice Pasquale Di Bonito, segretario territoriale dell’Uniat Uil– ma è anche la strada più semplice perché si stende il solito velo sulle responsabilità, sulle cause e sui perché si debba giungere ad azioni di recupero dopo decenni di un vuoto totale che ha allargato le sacche di evasione totale, nonostante gli indirizzi di bilancio periodicamente evasi e le indennità puntualmente riscosse da parte di chi ha avuto la responsabilità di gestire il patrimonio nel corso degli anni. La Romeo andò via portandosi via conti, estratti e files di tutta l’utenza lasciando nella confusione totale dirigenti e uffici che abbandonarono a loro volta per diversi mesi le utenze e la bollettazione. Poi, con la società San Matteo, si fece un investimento da 200mila euro di nuovi file e nuova programmazione. Al termine della sua attività, anche la San Matteo è andata via portandosi conti, estratti e files. E adesso, da due anni, c’è una nuova società, che per 20mila euro ha approntato i nuovi importi di canone, sbagliando però i primi tre mesi di bollettazione in quanto ha applicato un diverso metodo di calcolo per oltre tremila bollettini, risultati di importo superiore a quanto dovuto. Come se non bastasse, dal 1° gennaio di quest’anno c’è l’obbligo di fare la dichiarazione reddituale biennale per l’aggiornamento del canone, e ancora i cittadini non hanno ricevuto né la comunicazione né il modello da riempire. Abbiamo fatto tre riunioni con l’assessore al patrimonio Roberto Gerundo per definire anche queste situazioni, poi scopriamo che l’assessore al bilancio Teresa Stellato prosegue per la sua strada senza alcuna concertazione con le organizzazioni sindacali ma presumo nemmeno con l’assessore Gerundo, con il quale, ad esempio, avevamo prospettato l’allungamento del rateizzo delle morosità in funzione del debito e del reddito.
In più, ci sono gli importi difformi per la mancata applicazione dell’adeguamento ai sensi della legge regionale 19/97 articolo 3 comma 5 e 6. Peraltro –prosegue Di Bonito– ci risulta che gran parte di queste diffide al pagamento delle morosità sono rivolte a cittadini in regola con i canoni di locazione. Quindi, abbiamo forti dubbi che i pagamenti siano stati registrati dal Comune. Inoltre, gli importi maturati prima del subentro o della residenza nell’alloggio non devono essere conteggiati a carico dell’attuale inquilino, così come pure sta accadendo. E poi, bisogna ricordare che, così come stabilito dal codice civile, esistono dei termini oltre i quali anche le pigioni vanno in prescrizione e non sono più dovute. Ad oggi, il Comune non può pretendere importi di morosità antecedenti al 2008, mentre invece giungono diffide relative a morosità vecchie perfino di dieci anni e più. Dal 22 febbraio, io ed i miei colleghi di Sunia, Sicet e Cgil-Casa abbiamo chiesto un incontro al sindaco Figliolia, all’assessore Gerundo e al dirigente Sperandeo per affrontare tutti questi problemi: ma siamo ancora in attesa di essere convocati”.
E speriamo che presto si faccia chiarezza su questo autentico guazzabuglio.
Perché se il Comune vuole recuperare in fretta i soldi che gli spettano, deve non solo mettere i morosi nelle condizioni di estinguere il debito senza farli “impazzire” ma soprattutto ha l’obbligo di stabilire chi sono i veri debitori e per quali importi reali ed esigibili.
In caso contrario, il rischio è di perdere tempo in infiniti contenziosi ed aggravare il già enorme buco presente nelle casse di un Ente sempre più sull’orlo del dissesto finanziario.
(da “Il Corriere Flegreo” del 7 marzo 2013)