Una vicenda che ha davvero dell’incredibile si è consumata nei giorni scorsi con una sentenza altrettanto sorprendente.
Protagonisti due genitori puteolani che, nel luglio 2003, persero la figlioletta a poche ore dal parto e, qualche giorno dopo la sepoltura, si accorsero che i resti della bimba erano spariti dal luogo in cui era stata inumata, all’interno del cimitero di via Luciano.
Questi coniugi, infatti, sono stati condannati a pagare 9 mila euro di spese legali al Comune di Pozzuoli, Ente che avevano citato in giudizio per ottenere un risarcimento per i danni morali subìti.
Il verdetto è stato emesso dai giudici civili della Corte di Appello di Napoli, che hanno respinto un ricorso presentato dalla coppia, che aveva già perso la causa civile in primo grado.
Nelle motivazioni della decisione si legge, infatti, che non è necessario avere una tomba per piangere un proprio caro e che, applicando la fattispecie astratta al caso specifico, “i genitori potrebbero pur sempre continuare a praticare i riti tipici del culto dei defunti, contraddistinto da una spiritualità che si esprime in larga parte in preghiere, ricordi, pensieri, commozioni. Detti sentimenti non di necessità debbono mutare sol perché non vi è l’assoluta certezza che nella fossa contrassegnata dal numero o in area cimiteriale vicina a quella fossa vi siano i resti del feto comunque destinati a rapidissima distruzione per consunzione”.
“La legge 30 marzo 2001, numero 134, ad esempio –è scritto ancora nella sentenza– consente, in presenza di determinati presupposti, la dispersione delle ceneri dei cadaveri anche in mare, nei laghi e nei fiumi» e che «In dottrina è stato osservato come in tali casi i congiunti eserciteranno pur sempre il culto dei loro cari defunti, le cui ceneri sono state disperse, invece che davanti a una tomba, con altre modalità ma certamente i loro sentimenti non cambieranno, rimarranno pur sempre i ricordi, i pensieri, le commozioni”.
In sostanza, anche se quei genitori non avevano deciso di cremare il corpicino della loro figlioletta né di disperderne le ceneri, ma di seppellirla al camposanto, quando non c’è un luogo fisico su cui andare a pregare per l’anima di chi è deceduto “il sentimento di pietà per i defunti, inteso quale diritto soggettivo degli attori ad esercitare il culto dei propri morti, non è di necessità automaticamente leso”.
Sul caso si era già espresso anche il giudice penale, archiviando il procedimento per . “assenza del dolo”.
Quando la piccola morì, il papà della neonata andò personalmente al cimitero di Pozzuoli, consegnando i documenti al personale amministrativo e il feretro agli operai preposti alla sepoltura, che avvenne in presenza dello stesso genitore e di uno zio della bimba, con l’attribuzione di un numero alla fossa.
Dopo alcune settimane, però, sulla tomba della piccola i due genitori notarono la presenza di fiori freschi diversi da quelli che abitualmente portavano e scoprirono che, davanti alla stessa tomba, pregava un’altra mamma che aveva prematuramente perso il suo bambino.
Un’indagine consentì di appurare che, effettivamente, in quella fossa non erano più presenti i resti della figlia della coppia di Pozzuoli, ma solo le spoglie dell’altro bimbo.
“Tale incresciosa situazione era senza dubbio conseguenza diretta e immediata di un errore esclusivo del personale addetto ai servizi del cimitero di Pozzuoli che per negligenza, omissioni e gravi superficialità organizzative – si legge nella parte della sentenza in cui si ricostruiscono i fatti – aveva omesso di annotare le operazioni di sepoltura determinando la sepoltura di un altro bambino nella stessa fossa”.
Una vicenda “allucinante”, la definisce l’avvocato Angelo Pisani (legale della coppia) che ha preannunciato ricorso in Cassazione e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed è intenzionato a scrivere perfino a Papa Francesco.