Terremoto Rai, fatto fuori uno storico conduttore | Licenziamento in tronco: il motivo è da non credere
Logo Rai - DepositPhotos - pozzuoli21.it
Terremoto in Rai: uno storico conduttore è stato fatto fuori con un licenziamento, deciso dall’azienda per un motivo che va ben oltre lo studio televisivo.
Nel mondo della televisione pubblica esistono volti che sembrano quasi intoccabili. Anni di conduzioni, dirette fiume, grandi eventi sportivi raccontati in prima serata: tutto contribuisce a costruire un’aura di stabilità, come se quel posto in video fosse garantito per sempre. Per questo, quando da Viale Mazzini parte la comunicazione di un licenziamento in tronco, la notizia ha l’effetto di un vero terremoto in Rai, soprattutto se riguarda un protagonista che ha segnato la storia di Rai Sport.
La decisione è arrivata con una formula che non lascia spazio a dubbi: “licenziamento per giusta causa”, cioè la rottura immediata del rapporto di lavoro senza preavviso. Una misura che l’azienda può adottare solo quando ritiene che non sia più possibile proseguire neppure per un giorno il rapporto con il dipendente. In questo caso, la scelta non è legata ad ascolti deludenti o a cambi di palinsesto, ma a una vicenda giudiziaria delicatissima che ha travolto la figura del giornalista fuori dallo schermo, fino a farla diventare incompatibile – secondo la Rai – con il ruolo di volto del servizio pubblico.
Già da tempo i segnali di un rapporto incrinato non mancavano. Il giornalista era stato prima sospeso in via cautelare, poi aveva avviato un contenzioso con l’azienda lamentando un demansionamento. Nel frattempo, le sue vicende personali erano finite puntualmente sui giornali, alimentando un’attenzione mediatica che nulla aveva a che vedere con il calcio, ma che coinvolgeva direttamente l’immagine del servizio pubblico. Il licenziamento è arrivato al termine di questo percorso, come epilogo di una relazione professionale durata decenni e conclusa nel modo più brusco possibile.
Una carriera di primo piano e una condanna che cambia tutto
Per capire la portata di quanto accaduto bisogna ricordare il peso che questo volto aveva all’interno della redazione sportiva. Parliamo di uno storico conduttore di Rai Sport, inviato sui campi più importanti, protagonista di talk calcistici e trasmissioni di punta, fino al ruolo di vicedirettore. Una figura spesso al centro del dibattito, anche per il carattere deciso, ma comunque simbolo del racconto televisivo del calcio su Rai1, Rai2 e Rai3 per oltre quarant’anni.
È proprio qui che entra in scena il nome destinato a far discutere: il licenziamento riguarda Enrico Varriale, giornalista napoletano, classe 1960, volto di programmi storici come “Stadio Sprint” e “Il processo al 90° minuto”. La Rai ha comunicato la risoluzione del contratto “per giusta causa” dopo la condanna in primo grado a dieci mesi (pena sospesa) per stalking e lesioni nei confronti dell’ex compagna, con un secondo procedimento penale ancora pendente. Per l’azienda del servizio pubblico, la somma di questi elementi ha reso insostenibile la prosecuzione del rapporto, alla luce del ruolo esposto del giornalista.

Giusta causa, immagine pubblica e un caso destinato a fare scuola
Il cuore della vicenda sta nella nozione di giusta causa. Dal punto di vista tecnico-giuridico, si tratta di una clausola che permette al datore di lavoro di chiudere il rapporto senza preavviso quando il comportamento del dipendente è così grave da minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia. Nel caso di un giornalista televisivo del servizio pubblico, il tema non è solo ciò che avviene in redazione o davanti alle telecamere, ma anche l’eco che le vicende personali hanno sull’immagine della Rai e sul patto di credibilità con il pubblico. La condanna per atti persecutori e lesioni ha rappresentato, per i vertici di Viale Mazzini, il punto di non ritorno.
Non va dimenticato che la sentenza è ancora di primo grado e che il giornalista ha la possibilità di impugnare sia la decisione del tribunale sia quella dell’azienda, aprendo nuovi contenziosi sia sul fronte penale sia su quello del lavoro. Ma, al di là degli sviluppi giudiziari, il caso Varriale è destinato a fare scuola: mostra fino a che punto una vicenda privata possa incidere sulla carriera di un volto simbolo della tv pubblica, e quanto il tema della violenza contro le donne pesi ormai nelle valutazioni di opportunità e responsabilità di un broadcaster di servizio pubblico. In questa scelta, che molti faticano ancora a credere per la sua durezza, si intrecciano diritto, etica professionale e percezione dell’opinione pubblica, ridisegnando i confini di ciò che un’azienda è disposta a tollerare dai propri protagonisti in video.
