Ricevo e pubblico*
Sono al Vomero per una visita. Il cellulare vibra. Un messaggio mi comunica che il dottor Giulio De Luca, collega che conosco da più di trent’anni ed il cui studio è di fronte al mio, ha perso la sua battaglia contro il COVID.
Volgo lo sguardo verso le decine di bar e locali dove un’incredibile folla di ragazzi discutono animatamente accalcandosi gli uni agli altri e mi rendo conto che la movida ha solo cambiato orario.
Alcuni indossano la mascherina, molti altri, troppi, no.
Li osservo mentre alcuni di loro si passano di bocca in bocca una canna ed insieme a questa anche qualcos’altro, di cui si accorgeranno forse tra qualche giorno, e mi chiedo se questa gente meriti che persone come Giulio, e come tutti noi medici, debbano assumersi anche il più piccolo rischio.
Quelle stesse persone che, accortesi di essere positive, ci tempestano di telefonate in preda al panico per la febbre che non recede, reclamando terapie che non esistono, non riuscendo ad accettare l’idea che nelle fasi iniziali non esiste nessun farmaco in grado di modificare la durata e l’evoluzione della malattia e che la febbre, anche se in genere si risolve in una settimana, può continuare in circa il 10% dei casi anche in quella successiva.
Sono queste le persone che, in genere asintomatiche, portano il contagio in casa dei propri congiunti, spesso anziani con malattie e quindi a maggior rischio, e che sono gli abituali frequentatori degli studi medici.
Forse la vita dell’amico Giulio si è spenta per colpa di uno di quei ragazzi, per i quali la devastante scansione TC mostrata dal governatore De Luca in televisione non deve aver stimolato una sia pur minima riflessione, oppure a causa di qualcuno tra le centinaia di pazienti che vacciniamo dovendo proteggerci con dispositivi talmente inutili quanto ridicoli come quelli recentemente fornitici dall’ASL e che i nostri rappresentanti hanno rifiutato giudicandoli offensivi per il decoro e la dignità professionale.
Per inciso, voglio ricordare che gli unici dispositivi di protezione degni di tale nome sono stati i tre kit donati a tutti i Medici di Medicina Generale nel corso della prima ondata epidemica dal Sindaco della nostra città, che ringrazio.
Invito tutti a riflettere se sia conveniente lasciare la medicina territoriale completamente disarmata di fronte al fatto che più del 90% dei casi deve essere gestito a domicilio e che la prognosi di un paziente che giunge al ricovero ai primi segni di polmonite interstiziale è senz’altro migliore di chi viene ricoverato in fase più avanzata, tanto più che l’evoluzione può spesso essere imprevedibilmente rapida.
In tale scenario, il ruolo del medico di assistenza primaria è centrale se posto in condizione di operare efficacemente.
I pazienti costretti a casa sono disorientati, con la sensazione di essere abbandonati, non riuscendo ad accettare l’idea di non poter effettuare nemmeno un prelievo, di non ricevere alcuna terapia all’infuori dei sintomatici, perché non disponibile.
Le rassicurazioni circa il fatto che nella maggior parte dei casi la malattia ha un decorso positivo, non bastano.
Sarebbe molto utile chiarire che la grande risonanza mediatica circa l’efficacia di cortisone ed eparina riguarda “esclusivamente” i pazienti con deficit respiratorio (quasi sempre ospedalizzati), come ribadito dall’AIFA e dall’ EMA in base ai risultati degli studi da poco pubblicati, nei quali se ne sottolinea l’inutilità nei pazienti a domicilio senza segni di compromissione respiratoria.
Si eviterebbero inutili e costose prescrizioni che spesso si è quasi obbligati a fare.
Occorrerebbe invece rimarcare l’utilità di un attento monitoraggio per identificare il momento in cui è necessario il ricovero, fornendo i pazienti almeno di un saturimetro, che costa meno di una confezione di inutile azitromicina.
Se vogliamo contribuire ad evitare l’implosione del sistema ospedaliero è urgente recuperare una rete territoriale, dotandola di armi meno spuntate di quelle che abbiamo e con le quali ha dovuto combattere l’amico Giulio.
Vorrei infine esortare tutti ad aiutarci a contenere l’epidemia.
Scaricate l’ APP IMMUNI.
Essendo completamente saltato il contact tracing, importante strumento di controllo della diffusione, sia per l’alto numero di casi che per la mancanza di personale (i tracciatori), IMMUNI svolge automaticamente questo lavoro, consentendo alle strutture di caricare sulla piattaforma, in caso di positività il vostro codice, trasmettendolo a tutti i vostri contatti.
*Sergio Sarracino (medico di base specialista in cardiologia)